Basta Paolo
Dario Voltolini
Paolo sta cenando con i genitori. La madre, da qualche mese, usa mescolare allo yogurt una nuova mistura di cereali. Il padre sta spalmando uno strato di Stilton sul pane. Lo accompagna con un Porto che proviene da una riserva speciale. L’alcol decora di archetti le pareti del bicchiere. La cena sta terminando: la madre comincia a radunare piatti e posate, mentre Paolo gioca con il cavatappi di acciaio. Gli fa sollevare e abbassare le leve, imitando il movimento di due ali. Paolo commenta il proprio gioco con rumori e soffi.
—Basta Paolo!—dice la madre.
Paolo continua a giocare. Fa volare il cavatappi sul pane di Altamura, lo fa passare tra la bottiglia di acqua minerale Tŷ Nant e quella di Marzemino, lo fa atterrare sul lino della tovaglia.
—Paolo, smettila!—dice la madre.—Di’ a tuo figlio di posare quell’affare,—ingiunge al marito. Il quale alza appena lo sguardo e dice:—Paolo, basta.
Paolo si allontana dal tavolo con il cavatappi in mano. Mentre lo fa circonvoluire per la stanza, continua a rumoreggiare. E dice:—Arriva l’Aquila Imperiale di Asgaard!
—Lo senti cosa dice?—domanda la madre al marito.
—Che cosa?
Senti che cosa dice, dice “Aquila Imperiale,” e “Asgaard”! Quando io gli parlo sembra che non capisca niente, poi torna dall’asilo con quelle storie in testa. Mi stai ascoltando?
—E stai calma, no? Ma che problemi ci sono? Gioca, lascialo giocare.
Il marito si versa un dito di Porto. Posa la bottiglia sulla tovaglia, tra due portauovo di giada, ricordo di un viaggio. Ci sono gusci di uova in giro, perché hanno mangiato uova alla coque.
La madre intercetta il volo dell’Aquila e la strappa dalle mani di Paolo. Sparecchia. Il marito si siede su una poltrona posta accanto alla vetrata che occupa tutta la parete. Molto più in basso, al fondo del fianco del monte su cui la casa è costruita, un’autostrada percorre la valle. Sul balcone si sentirebbero i rumori del traffico salire dal precipizio. Autotreni che salgono verso il confine, bisarche che scendono in città. Ma ci sono due lastre di vetro che isolano la stanza dall’esterno.
La madre fa la spola tra la sala da pranzo e la cucina. Il marito ha preso una Dunhill di radica dal portapipe. Carica il fornello con tabacco Balkan Sobranie. Accende un lungo svedese, aspetta che tutto lo zolfo si sia volatilizzato e solo allora accende la pipa.
—Porto ne vuoi ancora?—domanda la donna con la bottiglia in mano.
—No, grazie—dice lui.
—Metto via,—dice la donna. E scompare nel corridoio.
Lui ha emesso una nuvola di fumo. Aspira con calma, gusta l’aroma della miscela. Dalla cucina gli giunge la voce di lei:—Mandami qui Paolo, per piacere.
Lui si guarda attorno. Poi risponde:—Non è qui,—e prende dal portariviste un fascicolo di documenti. Mentre li sta sfogliando lei torna in sala da pranzo. Recupera la tovaglia. Va in cucina. Ritorna.
—Ma Paolo dov’è?—domanda al marito.
—Non lo so, era di là con te.
—Ma proprio per niente, credevo che fosse qui.
—Guarda in camera sua, no?—suggerisce lui. La donna si allontana, ma dopo qualche istante è di ritorno. Nessuna traccia di Paolo.
—Cristo, voi due!—dice il marito alzandosi dalla poltrona. Depone la pipa nel portacenere di cristallo.—Forza, dove sarà mai!
La donna guarda il marito con rancore. Insieme vanno a cercare Paolo. Nelle loro camere da letto non c’è. Nella sua, dove controllano di nuovo, neppure. Perlustrano i bagni, ma non lo trovano. Vanno nello studio di lui, dove la portafinestra è aperta. La donna, di corsa, esce sul balcone. Ma Paolo non è lì. Il marito la raggiunge. Si sporge e guarda verso il basso. Vedendo questo movimento la donna urla.
—Piantala,—intima lui.
Tornano in casa. Chiamano:—Paolo! Paolo!—ma Paolo non risponde. Il corridoio d’ingresso è vuoto. Aprono la porta e guardano fuori nella notte. Sugli scalini Paolo non c’è, devono uscire per controllare nel giardino. Siccome la donna calza un paio di pantofole da casa e ha smesso da poco di piovere, rientra per indossare calzature più adatte. Passa accanto al marito e gli sibila—Stronzo.
Lui sorride, la segue, la ferma stringendole un braccio.
—Scusa, come hai detto?—le domanda stringendo ancora più forte e continuando a sorridere. La donna con uno strattone si divincola e raggiunge rapidamente lo sgabuzzino. Lui la incalza continuando a ripetere.—Ti ho fatto una domanda.
Lei apre con furia la porta dello sgabuzzino, in modo da sbatterla quasi addosso al marito che sta arrivando. Nello sgabuzzino, dentro un secchio di plastica verde, sta rannicchiato Paolo.
—Paolo, ma cosa?—grida la madre.
—Io sono l’uovo dell’Aquila Imperiale—dice Paolo.
—Basta Paolo!—dice la madre.
Paolo continua a giocare. Fa volare il cavatappi sul pane di Altamura, lo fa passare tra la bottiglia di acqua minerale Tŷ Nant e quella di Marzemino, lo fa atterrare sul lino della tovaglia.
—Paolo, smettila!—dice la madre.—Di’ a tuo figlio di posare quell’affare,—ingiunge al marito. Il quale alza appena lo sguardo e dice:—Paolo, basta.
Paolo si allontana dal tavolo con il cavatappi in mano. Mentre lo fa circonvoluire per la stanza, continua a rumoreggiare. E dice:—Arriva l’Aquila Imperiale di Asgaard!
—Lo senti cosa dice?—domanda la madre al marito.
—Che cosa?
Senti che cosa dice, dice “Aquila Imperiale,” e “Asgaard”! Quando io gli parlo sembra che non capisca niente, poi torna dall’asilo con quelle storie in testa. Mi stai ascoltando?
—E stai calma, no? Ma che problemi ci sono? Gioca, lascialo giocare.
Il marito si versa un dito di Porto. Posa la bottiglia sulla tovaglia, tra due portauovo di giada, ricordo di un viaggio. Ci sono gusci di uova in giro, perché hanno mangiato uova alla coque.
La madre intercetta il volo dell’Aquila e la strappa dalle mani di Paolo. Sparecchia. Il marito si siede su una poltrona posta accanto alla vetrata che occupa tutta la parete. Molto più in basso, al fondo del fianco del monte su cui la casa è costruita, un’autostrada percorre la valle. Sul balcone si sentirebbero i rumori del traffico salire dal precipizio. Autotreni che salgono verso il confine, bisarche che scendono in città. Ma ci sono due lastre di vetro che isolano la stanza dall’esterno.
La madre fa la spola tra la sala da pranzo e la cucina. Il marito ha preso una Dunhill di radica dal portapipe. Carica il fornello con tabacco Balkan Sobranie. Accende un lungo svedese, aspetta che tutto lo zolfo si sia volatilizzato e solo allora accende la pipa.
—Porto ne vuoi ancora?—domanda la donna con la bottiglia in mano.
—No, grazie—dice lui.
—Metto via,—dice la donna. E scompare nel corridoio.
Lui ha emesso una nuvola di fumo. Aspira con calma, gusta l’aroma della miscela. Dalla cucina gli giunge la voce di lei:—Mandami qui Paolo, per piacere.
Lui si guarda attorno. Poi risponde:—Non è qui,—e prende dal portariviste un fascicolo di documenti. Mentre li sta sfogliando lei torna in sala da pranzo. Recupera la tovaglia. Va in cucina. Ritorna.
—Ma Paolo dov’è?—domanda al marito.
—Non lo so, era di là con te.
—Ma proprio per niente, credevo che fosse qui.
—Guarda in camera sua, no?—suggerisce lui. La donna si allontana, ma dopo qualche istante è di ritorno. Nessuna traccia di Paolo.
—Cristo, voi due!—dice il marito alzandosi dalla poltrona. Depone la pipa nel portacenere di cristallo.—Forza, dove sarà mai!
La donna guarda il marito con rancore. Insieme vanno a cercare Paolo. Nelle loro camere da letto non c’è. Nella sua, dove controllano di nuovo, neppure. Perlustrano i bagni, ma non lo trovano. Vanno nello studio di lui, dove la portafinestra è aperta. La donna, di corsa, esce sul balcone. Ma Paolo non è lì. Il marito la raggiunge. Si sporge e guarda verso il basso. Vedendo questo movimento la donna urla.
—Piantala,—intima lui.
Tornano in casa. Chiamano:—Paolo! Paolo!—ma Paolo non risponde. Il corridoio d’ingresso è vuoto. Aprono la porta e guardano fuori nella notte. Sugli scalini Paolo non c’è, devono uscire per controllare nel giardino. Siccome la donna calza un paio di pantofole da casa e ha smesso da poco di piovere, rientra per indossare calzature più adatte. Passa accanto al marito e gli sibila—Stronzo.
Lui sorride, la segue, la ferma stringendole un braccio.
—Scusa, come hai detto?—le domanda stringendo ancora più forte e continuando a sorridere. La donna con uno strattone si divincola e raggiunge rapidamente lo sgabuzzino. Lui la incalza continuando a ripetere.—Ti ho fatto una domanda.
Lei apre con furia la porta dello sgabuzzino, in modo da sbatterla quasi addosso al marito che sta arrivando. Nello sgabuzzino, dentro un secchio di plastica verde, sta rannicchiato Paolo.
—Paolo, ma cosa?—grida la madre.
—Io sono l’uovo dell’Aquila Imperiale—dice Paolo.