da Noi la farem vendetta
Paolo Nori
I morti
Per chi si scrive
Si scrive per i morti.
Noi siamo più liberi
C’è stato un periodo che io mi ero convinto che vivevo in un paese dove noi eravamo più liberi per esempio dei paesi dove c’era il patto di Varsavia. M’ero abituato a pensare che noi eravamo più liberi e mi sembrava un pensiero che valeva qualcosa invece lo pensavo così senza pensarci, era un pensiero che aveva il vantaggio che per pensarlo non bisognava pensarlo, era già pensato. Dopo poi son stato in Russia, quando ancora c’era il patto di Varsavia, son tornato in Italia, il primo mese non riuscivo a camminare per strada. Stavo malissimo.
Per chi si scrive?
Per i morti.
Internet
Adesso per esempio è un periodo che tutti dicono che internet è una cosa molto democratica.
Soggettivo esistente
Ci son delle cose, in Kierkegaard, son cose anche complicate che però vederle formulate nel modo di Kierkegaard sembrano semplici per esempio il fatto del pensatore oggettivo e del pensatore soggettivo esistente.
Organigramma
Io c’è stato un periodo che mi ero convinto che era importante salire nell’organigramma. È stato un periodo che lavoravo all’estero e con il mio lavorare ero tutto proteso a cercare di far guadagnare più soldi possibile all’impresa per cui lavoravo. È stato un periodo che mi svegliavo alle cinque del mattino andavo a letto alle undici e tutto il giorno ero sempre di corsa volevo dimostrar delle cose.
Magari no
Allora per un po’ di tempo quando ho pensato che era importante salire nell’organigramma, forse avevo anche ragione, da un lato, però dall’altro mi sbagliavo, nel senso che io pensavo che fosse importante salire nell’organigramma nell’ottica del pensatore oggettivo invece, magari in quel momento era davvero importante salire nell’organigramma, probabilmente lo era, ma nell’ottica del pensatore soggettivo esistente, che in quanto esistente, cambia continuamente. Magari poi vuole salire sempre più in fretta, nell’organigramma, magari no.
Difatti
Difatti dopo due anni, ho dato le dimissioni.
La smettete?
Una volta, a Basilicanova, avrò avuto dieci anni, c’era una festa in piazza, al crocile, a Basilicanova la piazza si chiama Il crocile che vuol dire l’incrocio, non è una gran piazza, è raro che ci sian delle feste, ma ogni tanto ci sono. Allora c’era questa festa, avevan montato un palco c’era della gente che aveva cominciato a cantare, noi mi ricordo eravamo così contenti, che c’era una festa al crocile, andavamo avanti e indietro a rincorrerci per la piazza facevamo un casino che a un certo punto la cantante, c’era una cantante, ha interrotto la canzone ha detto dentro il microfono E allora, la smettete?
O, o
O ascoltate, ci ha detto la cantante, o andate, e noi, c’eravam guardati intorno, c’eravamo accorti che c’eravam solo noi, in piazza, la gente a Basilicanova queste feste non era abituata non c’era nessuno forse anche per quello era nervosa, la cantante, sarei stato nervoso anch’io.
In faccia a una chiesa
A Modena, nella piazza dei musei, in faccia a una chiesa, un giorno che c’era un gran caldo, un giorno che in tutta Italia c’erano delle manifestazioni per l’anniversario di un fatto di prepotenza della polizia che c’era stato anche un morto, e ce n’era una anche a Modena, e io ero lì, quel giorno lì, dopo tutti gli oratori di tutte le possibili e immaginabili frazioni anche minime della cosiddetta sinistra giovanile e non giovanile, parlamentare e non parlamentare, ultimo degli ultimi era salito sul palco un anarchico del circolo anarchico La scintilla e io mi ricordo che ero rimasto lì proprio per quello, per sentire l’anarchico del circolo anarchico La scintilla che era un posto che quando ci andavo tutte le sere che ci ero stato era poi successo qualcosa di memorabile. Allora l’anarchico mi ricordo quel giorno lì aveva cominciato a parlare normalmente a dire che aveva sentito gli altri che l’avevan preceduto sul palco che avevan parlato di quel fatto lì della prepotenza della polizia come di un fatto inaudito di una gravità senza precedenti Mi meraviglio, aveva detto l’anarchico, mi meraviglio perché a noi succede tutti i giorni. E aveva cominciato a raccontare tutte le volte che la polizia aveva picchiato qualcuno del circolo anarchico La scintilla, e mammano che andava avanti si sentiva la pazienza che gli scappava e la sua voce cresceva sempre di più e noi tra il pubblico ci alzavamo pian piano, impercettibilmente, raddrizzavamo le schiene, alzavamo le teste, piano piano, lentamente, come guidati dalla voce dell’anarchico del circolo anarchico La scintilla che alla fine del suo discorso il suo crescere lento della sua voce il suo scappar la pazienza aumentavano sempre di più aveva finito che era incazzato nero con una bestemmia, aveva finito. Dopo alla fine io mi ero avvicinato per fargli i complimenti, a quello della Scintilla, solo che prima di me era arrivato uno degli organizzatori, uno di Rifondazione comunista, Non eravamo d’accordo così, gli aveva detto, non si bestemmia davanti una chiesa. Che l’anarchico l’aveva guardato Tioca’, gli aveva detto, cosa sei, un catechista?
La prima volta che l’ho sentita nella mia vita
Allora c’eravamo guardati, Ascoltiamo almeno una canzone, c’eravamo detti al crocile di Basilicanova e c’eravamo seduti, l’avevamo ascoltata e la canzone che avevamo ascoltato era I morti di Reggio Emilia, la prima volta che l’ho sentita nella mia vita.
Complimenti
Dopo che è finita la canzone ci siamo alzati, abbiam ricominciato a fare i nostri giri in piazza ma più piano, di prima, intanto è arrivato qualche altro spettatore il concerto è andato avanti e io, mi ricordo, alla fine del concerto avevo pensato Adesso vado dalla cantante a dirle che era bella, quella canzone là. Complimenti, le dico, avevo pensato, all’epoca. Poi dopo non c’ero andato.
Molto ballo
Scrive Renato Nicolai nel libro Reggio Emilia 7 luglio 1960 che Ovidio Franchi era molto devoto al nonno e che quando il vecchio morì Ovidio, che aveva diciassette anni, cominciò a portargli assiduamente dei fiori rossi al cimitero. Quando la mamma gli chiedeva cosa faceva sulla tomba del nonno, lui rispondeva Gli chiedo che mi dia molto denaro e molto ballo.
Mi piaceva
A me da piccolo a dieci anni mi piaceva immaginarmi che facevo dei gesti da grande, mi piaceva moltissimo pagare le consumazioni al bar, mi piaceva guardare l’orologio con l’aria pensierosa, mi piaceva immaginarmi da qualche parte vestito bene che dicevo A mio avviso.
Contro il muro
Scrive Nicolai che il fratello di Lauro Farioli, quando vede la salma del fratello esposta nell’atrio del Teatro Municipale tira un pugno contro il muro e si fracassa una mano.
Artistico
Io mi ricordo che avevo pensato che il discorso dell’anarchico della Scintilla, la reazione che provocava, le schiene che si raddrizzano, le teste che si alzano, era un effetto tipicamente artistico, e m’era venuto da paragonare la bestemmia dell’anarchico a quella di un film che avevo appena visto al cinema dove la scena centrale era una bestemmia urlata dal fratello del protagonista fortissima, liberatoria. E l’avevo poi detto all’anarchico della Scintilla lui m’aveva guardato Tioca’, m’aveva detto, hai ragione.
Emilio Reverberi
Emilio Reverberi, a me viene in mente mio babbo che aveva una ditta, prima di fallire, con un socio che si chiamava Reverberi la ditta era Nori & Reverberi, Emilio invece è il nome di mio fratello che se mia figlia fosse stata un maschio io in un primo momento avrei avuto piacere che si chiamasse Emilio.
Makarenko
Emilio Reverberi, che aveva 39 anni, era un ex partigiano, aveva due figli piccoli e l’hanno colpito sotto la galleria San Rocco, dice Nicolai che il suo scrittore preferito era Makarenko, e la sua rivista preferita Realtà sovietica.
Realtà sovietica
Realtà sovietica è una rivista che usciva tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni settanta con il sottotitolo Una rivista per conoscere un mondo nuovo. Era una rivista che definirei austroungarica con per esempio nella rubrica uomini e donne un articolo intitolato È figlio di un bracciante il costruttore del sincrofasotrone, dove il professor Michail Meščeriakov, dirigente dell’Istituto di ricerche nucleari di Dubno, rievocava per i lettori di Realtà sovietica la sua adolescenza. Oppure un altro servizio sul perché Strelcov non ha giocato ai mondiali in Svezia, che nel sottotitolo diceva Strelcov era un buon giovane quando entrò nelle officine ZIL e cominciò a giocare a calcio. Poi si montò la testa e altri contribuirono a montargliela. L’articolo cominciava così: Già! Strelcov non ha giocato in nazionale. Tutte le sue promesse scritte ed orali di non comportarsi più in modo riprovevole si sono rivelate come semplici bugie.
Può far sorridere
Scrive Giuliano Rovacchi, nel suo discorso Nel 41° anniversario dei fatti del 7 luglio ’60, per salvare la memoria e difendere i diritti dei cittadini: Sono certo che a qualcuno può far sorridere l’idea che avevamo, e cioè eravamo convinti che la generazione che ci aveva preceduto aveva conquistato la libertà con la lotta contro il nazifascismo mentre sarebbe spettato a noi, scrive Rovacchi, alla nostra generazione, costruire il Socialismo in Italia. Non il Socialismo del senno di poi, ma quello che noi intendevamo: una società di giusti ed eguali, fondata sul lavoro e non sul profitto, sulla felicità e non sulla paura, sulla parità tra le donne e gli uomini, sulle identiche responsabilità e non sulla divisione tra il lavoro intellettuale e quello manuale.
A scuola / in fabbrica
Makarenko, oltre che scrittore era anche un pedagogo, il pedagogo preferito di Francesca, che prima di laurearsi in storia dell’Unione sovietica ha fatto le magistrali dove ha studiato le varie pedagogie e la sua pedagogia, di Makarenko, Francesca la riassume così: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica.
Temprati
Ci battemmo per la libertà, scrive Rovacchi, per una libertà minacciata, ma ancor di più per una libertà da conquistare più che da difendere. In quegli anni ci eravamo temprati nelle dure lotte di piazza e lo dimostrarono quel 7 luglio del 1960 molti di quei giovani assaliti dalla polizia.
Irma
Una cosa strana, con mia figlia, che i primi tempi fino ai tre mesi quando la dovevo chiamare non mi veniva il nome. Mirta? mi veniva in mente. Rita? Emma? Rina? Pina? Ci mettevo sempre qualche secondo, a trovarlo. Poi un’altra cosa strana che quando l’ho vista venire fuori, in sala parto, io mi ricordo la prima cosa che ho pensato Merda, ho pensato, è uguale a me.
Coraggio
In quei momenti, scrive Rovacchi, dopo il tentativo dei poliziotti di disperderci con il primo carosello delle jeep cariche di celerini ed alcuni passaggi dell’autobotte che lanciava, con gli idranti, acqua colorata che bruciava la pelle e imbrattava gli abiti, i ragazzi, gli operai, i giovani ancora esclusi dalle istituzioni e dalla vita associativa, si ripresero, si ripararono e poi si batterono con grande coraggio e determinazione.
Quando siamo da soli
Io delle volte quando siamo da soli prendo mia figlia la guardo negli occhi le dico Lo sai che tu prima, l’anno scorso, per dire, non c’eri? Dopo una sera io e tua mamma abbiamo deciso Adesso la facciamo.
Lo sgranare degli spari
Ero in piazza Cavour, scrive Rovacchi, in angolo con via San Rocco, sotto i portici dell’isolato, quando d’un tratto, ancora tra il fumo accecante, ho sentito lo sgranare degli spari. La polizia sparava e sparava sulla gente ad altezza d’uomo. Ci fermammo per un attimo stupiti, increduli, non ci rendevamo conto.
La dolce
Irma la dolce, ci dicono tutti quando sanno che l’abbiamo chiamata Irma. In verità è per la nostra amica russa che si chiama Ir’ma fa la ceramista a San Pietroburgo e è una donna bellissima e elegantissima e intelligentissima però lei è normale, che non la conoscano, Irma Bandiera è un po’ più strano, che qui a Bologna nessuno si ricordi di Irma Bandiera, del settimo GAP di Bologna, che Catturata in combattimento, dice la motivazione della medaglia d’oro che le han dato alla memoria, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata, fu trucidata sulla pubblica piazza.
Dalla bocca
Vicino a me, scrive Rovacchi, c’era un giovane che non conoscevo. Si era fermato anche lui incredulo. Dopo i primi spari, anziché ripararsi, si avviò deciso verso i poliziotti come per fermarli, per rimproverarli e indurli alla ragione, raccomandandosi di non commettere degli atti irreparabili. Nel mentre mi ero sdraiato mettendomi al riparo dietro dei vasi di piante sempreverdi che delimitavano, nella piazza, l’area adibita ai tavoli del bar Cavour. Quando rivolsi di nuovo lo sguardo su di lui, con l’intenzione di invitarlo a mettersi al riparo, sentii una raffica di mitra. L’ho visto voltarsi, girarsi su se stesso, con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca.
Assassini
Mentre a carponi cercavo di ritirarmi sotto i portici dell’isolato San Rocco, scrive Rovacchi, un compagno, che aveva visto tutto, sporgendosi dietro l’angolo del negozio di moda, gridava, piangendo di rabbia Assassini! Assassini! Sentii una raffica passare sulla mia testa e contemporaneamente lo vidi cadere colpito in una pozza di sangue. Era Marino Serri, 40 anni, operaio, ex partigiano: lo hanno assassinato gli stessi agenti che un attimo prima avevano ucciso Lauro Farioli.
Il padre di Kierkegaard
Secondo un esegeta di Kierkegaard che si chiama Jesi, il padre di Kierkegaard era molto devoto, anche troppo, e la sua devozione anche eccessiva dipendeva dal fatto che lui, il padre di Kierkegaard, da ragazzo era un pastore di pecore dello Jutland poverissimo che un bel giorno era salito su una collina e aveva maledetto Dio che permetteva le sue sofferenze. Pochi giorni dopo, scrive Jesi, il padre di Kierkegaard l’aveva chiamato uno zio materno a Copenhagen lo aveva introdotto nel commercio e poco tempo dopo lui si era arricchito.
Afro Tondelli
Secondo Nicolai Afro Tondelli, che lavorava all’Arcispedale e era dirigente del sindacato ospedalieri e segretario locale dell’ANPI, leggeva tutti i giorni l’Unità, prima di iniziare il lavoro, e leggeva spesso anche Realtà sovietica, perché seguiva con molto interesse il progresso tecnico e scientifico dell’Unione sovietica.
Dio
In quello che era successo, scrive Jesi, il padre di Kierkegaard vide il segno della maledizione divina. Egli aveva maledetto Dio, e Dio, mentre esaudiva il suo desiderio di non più soffrire, lo condannava concedendogli le colpevoli ricchezze del secolo.
Domenico Romani
Domenico Romani, che era infermiere in servizio all’Arcispedale di Santa Maria Nuova di Reggio Emilia il 7 luglio 1960, e era collega di Afro Tondelli, dice che quando arrivò tra i feriti il caro collega Afro Tondelli, lui si recò subito al suo capezzale per portargli aiuto e conforto. Tondelli, scrive Romani, giaceva su un lettino barella, e tra i lamenti di dolo re ha ripetuto più volte: Hanno voluto sparare a me, mi hanno preso di mira, ero solo.
Difficile
Quando ho letto la storia di Jesi sul padre di Kierkegaard, ho pensato che era molto bella, la condanna di concedere le colpevoli ricchezze del secolo, una condanna molto poetica e che il padre di Kierkegaard doveva essere un uomo molto poetico e che la sua vita dev’essere stata una vita così piena di senso che dev’essere stata una vita difficile, ho pensato.
Sarà che non era cattolico
A me le cose cattoliche quando parlan di Dio del figlio di Dio mi han sempre dato molto fastidio e qui ultimamente io che non ho mai bestemmiato mi viene anche da bestemmiare, quando sento le cose cattoliche che parlano di Dio o del figlio di Dio. Be’, sarà che Kierkegaard non era cattolico, sentirlo parlare di Dio Kierkegaard anche nei diari, non so come mai, non dà mica fastidio.
La gente
Per esempio nei diari, il 18 aprile 1836, Kierkegaard scrive: La gente mi comprende così poco che non comprende neppure i miei lamenti perché non mi comprende.
Ma io piango
Oppure il 14 luglio 1837 Kierkegaard scrive: Anch’io unisco a modo mio il tragico col comico: Dico facezie e la gente ride. Ma io piango.
Delle volte
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Domanda strana
Pochi giorni fa mi son sentito dire, ero alla presentazione di un libro, Ma perché scrivi? mi ha chiesto uno a un certo momento che è una domanda strana, e io tutte le volte che me l’avevano fatta non avevo mai trovato una risposta pochi giorni fa Io più vado avanti, mi son sentito dire, più ho l’impressione che i miei libri, ecco secondo me io, ma anche gli altri che scrivon romanzi, secondo me i romanzi in generale si scrivono per i morti.
La mortalità
Io se non avessi avuto i miei morti, mi son sentito dire, mio nonno, mia nonna, mio babbo, io probabilmente non avrei mai scritto niente e i libri che piacciono a me secondo me sono scritti per della gente che sa già tutto, non per informare, per informare, per i vivi, ci sono i giornali, i telegiornali, i radiogiornali, i romanzi, mi sembra, son per i morti, e io ormai più passa il tempo anche nei vivi, anche in me, mi son sentito dire, io apprezzo la parte morta, di me, la mia mortalità, non la mia vitalità.
Un romanzo
Io per esempio un romanzo che ho scritto che si chiama Pancetta quello lì era per un grande morto che si chiama Chlebnikov che spero che l’abbia letto.
Avere dei morti
Alla fine allora avere dei morti è una cosa che non è indifferente, quello che fai, avere dei morti è già dare un senso alla vita. Quelli che cercano il senso della loro vita, per dire, è perché non hanno ancora capito che hanno dei morti, secondo me.
Nonostante tutte le porcherie
Per esempio i parenti dei morti di Reggio Emilia, che son passati quarantacinque anni, nonostante tutte le porcherie che hanno subìto le ingiustizie che han visto nonostante il
dramma di quel che è successo lì in piazza dei Martiri, loro non si son mica dati per vinto, sono convinti che riusciranno a far mettere in piedi una commissione d’inchiesta parlamentare che dirà finalmente, dopo quarantacinque anni dai famosi fatti di Reggio Emilia, cosa è successo davvero a Reggio Emilia il 7 di luglio del 1960. E il fatto che non si siano dati per vinto che abbiano ancora presente benissimo a quarantacinque anni di distanza il senso di quello che devono fare, secondo me, non so se poi in generale dai fatti del mondo si possono trarre delle conclusioni, ma se si potessero trarre io concluderei che è della gente che hanno dei morti che son molto forti.
Per chi si scrive
Si scrive per i morti.
Noi siamo più liberi
C’è stato un periodo che io mi ero convinto che vivevo in un paese dove noi eravamo più liberi per esempio dei paesi dove c’era il patto di Varsavia. M’ero abituato a pensare che noi eravamo più liberi e mi sembrava un pensiero che valeva qualcosa invece lo pensavo così senza pensarci, era un pensiero che aveva il vantaggio che per pensarlo non bisognava pensarlo, era già pensato. Dopo poi son stato in Russia, quando ancora c’era il patto di Varsavia, son tornato in Italia, il primo mese non riuscivo a camminare per strada. Stavo malissimo.
Per chi si scrive?
Per i morti.
Internet
Adesso per esempio è un periodo che tutti dicono che internet è una cosa molto democratica.
Soggettivo esistente
Ci son delle cose, in Kierkegaard, son cose anche complicate che però vederle formulate nel modo di Kierkegaard sembrano semplici per esempio il fatto del pensatore oggettivo e del pensatore soggettivo esistente.
Organigramma
Io c’è stato un periodo che mi ero convinto che era importante salire nell’organigramma. È stato un periodo che lavoravo all’estero e con il mio lavorare ero tutto proteso a cercare di far guadagnare più soldi possibile all’impresa per cui lavoravo. È stato un periodo che mi svegliavo alle cinque del mattino andavo a letto alle undici e tutto il giorno ero sempre di corsa volevo dimostrar delle cose.
Magari no
Allora per un po’ di tempo quando ho pensato che era importante salire nell’organigramma, forse avevo anche ragione, da un lato, però dall’altro mi sbagliavo, nel senso che io pensavo che fosse importante salire nell’organigramma nell’ottica del pensatore oggettivo invece, magari in quel momento era davvero importante salire nell’organigramma, probabilmente lo era, ma nell’ottica del pensatore soggettivo esistente, che in quanto esistente, cambia continuamente. Magari poi vuole salire sempre più in fretta, nell’organigramma, magari no.
Difatti
Difatti dopo due anni, ho dato le dimissioni.
La smettete?
Una volta, a Basilicanova, avrò avuto dieci anni, c’era una festa in piazza, al crocile, a Basilicanova la piazza si chiama Il crocile che vuol dire l’incrocio, non è una gran piazza, è raro che ci sian delle feste, ma ogni tanto ci sono. Allora c’era questa festa, avevan montato un palco c’era della gente che aveva cominciato a cantare, noi mi ricordo eravamo così contenti, che c’era una festa al crocile, andavamo avanti e indietro a rincorrerci per la piazza facevamo un casino che a un certo punto la cantante, c’era una cantante, ha interrotto la canzone ha detto dentro il microfono E allora, la smettete?
O, o
O ascoltate, ci ha detto la cantante, o andate, e noi, c’eravam guardati intorno, c’eravamo accorti che c’eravam solo noi, in piazza, la gente a Basilicanova queste feste non era abituata non c’era nessuno forse anche per quello era nervosa, la cantante, sarei stato nervoso anch’io.
In faccia a una chiesa
A Modena, nella piazza dei musei, in faccia a una chiesa, un giorno che c’era un gran caldo, un giorno che in tutta Italia c’erano delle manifestazioni per l’anniversario di un fatto di prepotenza della polizia che c’era stato anche un morto, e ce n’era una anche a Modena, e io ero lì, quel giorno lì, dopo tutti gli oratori di tutte le possibili e immaginabili frazioni anche minime della cosiddetta sinistra giovanile e non giovanile, parlamentare e non parlamentare, ultimo degli ultimi era salito sul palco un anarchico del circolo anarchico La scintilla e io mi ricordo che ero rimasto lì proprio per quello, per sentire l’anarchico del circolo anarchico La scintilla che era un posto che quando ci andavo tutte le sere che ci ero stato era poi successo qualcosa di memorabile. Allora l’anarchico mi ricordo quel giorno lì aveva cominciato a parlare normalmente a dire che aveva sentito gli altri che l’avevan preceduto sul palco che avevan parlato di quel fatto lì della prepotenza della polizia come di un fatto inaudito di una gravità senza precedenti Mi meraviglio, aveva detto l’anarchico, mi meraviglio perché a noi succede tutti i giorni. E aveva cominciato a raccontare tutte le volte che la polizia aveva picchiato qualcuno del circolo anarchico La scintilla, e mammano che andava avanti si sentiva la pazienza che gli scappava e la sua voce cresceva sempre di più e noi tra il pubblico ci alzavamo pian piano, impercettibilmente, raddrizzavamo le schiene, alzavamo le teste, piano piano, lentamente, come guidati dalla voce dell’anarchico del circolo anarchico La scintilla che alla fine del suo discorso il suo crescere lento della sua voce il suo scappar la pazienza aumentavano sempre di più aveva finito che era incazzato nero con una bestemmia, aveva finito. Dopo alla fine io mi ero avvicinato per fargli i complimenti, a quello della Scintilla, solo che prima di me era arrivato uno degli organizzatori, uno di Rifondazione comunista, Non eravamo d’accordo così, gli aveva detto, non si bestemmia davanti una chiesa. Che l’anarchico l’aveva guardato Tioca’, gli aveva detto, cosa sei, un catechista?
La prima volta che l’ho sentita nella mia vita
Allora c’eravamo guardati, Ascoltiamo almeno una canzone, c’eravamo detti al crocile di Basilicanova e c’eravamo seduti, l’avevamo ascoltata e la canzone che avevamo ascoltato era I morti di Reggio Emilia, la prima volta che l’ho sentita nella mia vita.
Complimenti
Dopo che è finita la canzone ci siamo alzati, abbiam ricominciato a fare i nostri giri in piazza ma più piano, di prima, intanto è arrivato qualche altro spettatore il concerto è andato avanti e io, mi ricordo, alla fine del concerto avevo pensato Adesso vado dalla cantante a dirle che era bella, quella canzone là. Complimenti, le dico, avevo pensato, all’epoca. Poi dopo non c’ero andato.
Molto ballo
Scrive Renato Nicolai nel libro Reggio Emilia 7 luglio 1960 che Ovidio Franchi era molto devoto al nonno e che quando il vecchio morì Ovidio, che aveva diciassette anni, cominciò a portargli assiduamente dei fiori rossi al cimitero. Quando la mamma gli chiedeva cosa faceva sulla tomba del nonno, lui rispondeva Gli chiedo che mi dia molto denaro e molto ballo.
Mi piaceva
A me da piccolo a dieci anni mi piaceva immaginarmi che facevo dei gesti da grande, mi piaceva moltissimo pagare le consumazioni al bar, mi piaceva guardare l’orologio con l’aria pensierosa, mi piaceva immaginarmi da qualche parte vestito bene che dicevo A mio avviso.
Contro il muro
Scrive Nicolai che il fratello di Lauro Farioli, quando vede la salma del fratello esposta nell’atrio del Teatro Municipale tira un pugno contro il muro e si fracassa una mano.
Artistico
Io mi ricordo che avevo pensato che il discorso dell’anarchico della Scintilla, la reazione che provocava, le schiene che si raddrizzano, le teste che si alzano, era un effetto tipicamente artistico, e m’era venuto da paragonare la bestemmia dell’anarchico a quella di un film che avevo appena visto al cinema dove la scena centrale era una bestemmia urlata dal fratello del protagonista fortissima, liberatoria. E l’avevo poi detto all’anarchico della Scintilla lui m’aveva guardato Tioca’, m’aveva detto, hai ragione.
Emilio Reverberi
Emilio Reverberi, a me viene in mente mio babbo che aveva una ditta, prima di fallire, con un socio che si chiamava Reverberi la ditta era Nori & Reverberi, Emilio invece è il nome di mio fratello che se mia figlia fosse stata un maschio io in un primo momento avrei avuto piacere che si chiamasse Emilio.
Makarenko
Emilio Reverberi, che aveva 39 anni, era un ex partigiano, aveva due figli piccoli e l’hanno colpito sotto la galleria San Rocco, dice Nicolai che il suo scrittore preferito era Makarenko, e la sua rivista preferita Realtà sovietica.
Realtà sovietica
Realtà sovietica è una rivista che usciva tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni settanta con il sottotitolo Una rivista per conoscere un mondo nuovo. Era una rivista che definirei austroungarica con per esempio nella rubrica uomini e donne un articolo intitolato È figlio di un bracciante il costruttore del sincrofasotrone, dove il professor Michail Meščeriakov, dirigente dell’Istituto di ricerche nucleari di Dubno, rievocava per i lettori di Realtà sovietica la sua adolescenza. Oppure un altro servizio sul perché Strelcov non ha giocato ai mondiali in Svezia, che nel sottotitolo diceva Strelcov era un buon giovane quando entrò nelle officine ZIL e cominciò a giocare a calcio. Poi si montò la testa e altri contribuirono a montargliela. L’articolo cominciava così: Già! Strelcov non ha giocato in nazionale. Tutte le sue promesse scritte ed orali di non comportarsi più in modo riprovevole si sono rivelate come semplici bugie.
Può far sorridere
Scrive Giuliano Rovacchi, nel suo discorso Nel 41° anniversario dei fatti del 7 luglio ’60, per salvare la memoria e difendere i diritti dei cittadini: Sono certo che a qualcuno può far sorridere l’idea che avevamo, e cioè eravamo convinti che la generazione che ci aveva preceduto aveva conquistato la libertà con la lotta contro il nazifascismo mentre sarebbe spettato a noi, scrive Rovacchi, alla nostra generazione, costruire il Socialismo in Italia. Non il Socialismo del senno di poi, ma quello che noi intendevamo: una società di giusti ed eguali, fondata sul lavoro e non sul profitto, sulla felicità e non sulla paura, sulla parità tra le donne e gli uomini, sulle identiche responsabilità e non sulla divisione tra il lavoro intellettuale e quello manuale.
A scuola / in fabbrica
Makarenko, oltre che scrittore era anche un pedagogo, il pedagogo preferito di Francesca, che prima di laurearsi in storia dell’Unione sovietica ha fatto le magistrali dove ha studiato le varie pedagogie e la sua pedagogia, di Makarenko, Francesca la riassume così: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica.
Temprati
Ci battemmo per la libertà, scrive Rovacchi, per una libertà minacciata, ma ancor di più per una libertà da conquistare più che da difendere. In quegli anni ci eravamo temprati nelle dure lotte di piazza e lo dimostrarono quel 7 luglio del 1960 molti di quei giovani assaliti dalla polizia.
Irma
Una cosa strana, con mia figlia, che i primi tempi fino ai tre mesi quando la dovevo chiamare non mi veniva il nome. Mirta? mi veniva in mente. Rita? Emma? Rina? Pina? Ci mettevo sempre qualche secondo, a trovarlo. Poi un’altra cosa strana che quando l’ho vista venire fuori, in sala parto, io mi ricordo la prima cosa che ho pensato Merda, ho pensato, è uguale a me.
Coraggio
In quei momenti, scrive Rovacchi, dopo il tentativo dei poliziotti di disperderci con il primo carosello delle jeep cariche di celerini ed alcuni passaggi dell’autobotte che lanciava, con gli idranti, acqua colorata che bruciava la pelle e imbrattava gli abiti, i ragazzi, gli operai, i giovani ancora esclusi dalle istituzioni e dalla vita associativa, si ripresero, si ripararono e poi si batterono con grande coraggio e determinazione.
Quando siamo da soli
Io delle volte quando siamo da soli prendo mia figlia la guardo negli occhi le dico Lo sai che tu prima, l’anno scorso, per dire, non c’eri? Dopo una sera io e tua mamma abbiamo deciso Adesso la facciamo.
Lo sgranare degli spari
Ero in piazza Cavour, scrive Rovacchi, in angolo con via San Rocco, sotto i portici dell’isolato, quando d’un tratto, ancora tra il fumo accecante, ho sentito lo sgranare degli spari. La polizia sparava e sparava sulla gente ad altezza d’uomo. Ci fermammo per un attimo stupiti, increduli, non ci rendevamo conto.
La dolce
Irma la dolce, ci dicono tutti quando sanno che l’abbiamo chiamata Irma. In verità è per la nostra amica russa che si chiama Ir’ma fa la ceramista a San Pietroburgo e è una donna bellissima e elegantissima e intelligentissima però lei è normale, che non la conoscano, Irma Bandiera è un po’ più strano, che qui a Bologna nessuno si ricordi di Irma Bandiera, del settimo GAP di Bologna, che Catturata in combattimento, dice la motivazione della medaglia d’oro che le han dato alla memoria, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata, fu trucidata sulla pubblica piazza.
Dalla bocca
Vicino a me, scrive Rovacchi, c’era un giovane che non conoscevo. Si era fermato anche lui incredulo. Dopo i primi spari, anziché ripararsi, si avviò deciso verso i poliziotti come per fermarli, per rimproverarli e indurli alla ragione, raccomandandosi di non commettere degli atti irreparabili. Nel mentre mi ero sdraiato mettendomi al riparo dietro dei vasi di piante sempreverdi che delimitavano, nella piazza, l’area adibita ai tavoli del bar Cavour. Quando rivolsi di nuovo lo sguardo su di lui, con l’intenzione di invitarlo a mettersi al riparo, sentii una raffica di mitra. L’ho visto voltarsi, girarsi su se stesso, con tutto il sangue che gli usciva dalla bocca.
Assassini
Mentre a carponi cercavo di ritirarmi sotto i portici dell’isolato San Rocco, scrive Rovacchi, un compagno, che aveva visto tutto, sporgendosi dietro l’angolo del negozio di moda, gridava, piangendo di rabbia Assassini! Assassini! Sentii una raffica passare sulla mia testa e contemporaneamente lo vidi cadere colpito in una pozza di sangue. Era Marino Serri, 40 anni, operaio, ex partigiano: lo hanno assassinato gli stessi agenti che un attimo prima avevano ucciso Lauro Farioli.
Il padre di Kierkegaard
Secondo un esegeta di Kierkegaard che si chiama Jesi, il padre di Kierkegaard era molto devoto, anche troppo, e la sua devozione anche eccessiva dipendeva dal fatto che lui, il padre di Kierkegaard, da ragazzo era un pastore di pecore dello Jutland poverissimo che un bel giorno era salito su una collina e aveva maledetto Dio che permetteva le sue sofferenze. Pochi giorni dopo, scrive Jesi, il padre di Kierkegaard l’aveva chiamato uno zio materno a Copenhagen lo aveva introdotto nel commercio e poco tempo dopo lui si era arricchito.
Afro Tondelli
Secondo Nicolai Afro Tondelli, che lavorava all’Arcispedale e era dirigente del sindacato ospedalieri e segretario locale dell’ANPI, leggeva tutti i giorni l’Unità, prima di iniziare il lavoro, e leggeva spesso anche Realtà sovietica, perché seguiva con molto interesse il progresso tecnico e scientifico dell’Unione sovietica.
Dio
In quello che era successo, scrive Jesi, il padre di Kierkegaard vide il segno della maledizione divina. Egli aveva maledetto Dio, e Dio, mentre esaudiva il suo desiderio di non più soffrire, lo condannava concedendogli le colpevoli ricchezze del secolo.
Domenico Romani
Domenico Romani, che era infermiere in servizio all’Arcispedale di Santa Maria Nuova di Reggio Emilia il 7 luglio 1960, e era collega di Afro Tondelli, dice che quando arrivò tra i feriti il caro collega Afro Tondelli, lui si recò subito al suo capezzale per portargli aiuto e conforto. Tondelli, scrive Romani, giaceva su un lettino barella, e tra i lamenti di dolo re ha ripetuto più volte: Hanno voluto sparare a me, mi hanno preso di mira, ero solo.
Difficile
Quando ho letto la storia di Jesi sul padre di Kierkegaard, ho pensato che era molto bella, la condanna di concedere le colpevoli ricchezze del secolo, una condanna molto poetica e che il padre di Kierkegaard doveva essere un uomo molto poetico e che la sua vita dev’essere stata una vita così piena di senso che dev’essere stata una vita difficile, ho pensato.
Sarà che non era cattolico
A me le cose cattoliche quando parlan di Dio del figlio di Dio mi han sempre dato molto fastidio e qui ultimamente io che non ho mai bestemmiato mi viene anche da bestemmiare, quando sento le cose cattoliche che parlano di Dio o del figlio di Dio. Be’, sarà che Kierkegaard non era cattolico, sentirlo parlare di Dio Kierkegaard anche nei diari, non so come mai, non dà mica fastidio.
La gente
Per esempio nei diari, il 18 aprile 1836, Kierkegaard scrive: La gente mi comprende così poco che non comprende neppure i miei lamenti perché non mi comprende.
Ma io piango
Oppure il 14 luglio 1837 Kierkegaard scrive: Anch’io unisco a modo mio il tragico col comico: Dico facezie e la gente ride. Ma io piango.
Delle volte
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Domanda strana
Pochi giorni fa mi son sentito dire, ero alla presentazione di un libro, Ma perché scrivi? mi ha chiesto uno a un certo momento che è una domanda strana, e io tutte le volte che me l’avevano fatta non avevo mai trovato una risposta pochi giorni fa Io più vado avanti, mi son sentito dire, più ho l’impressione che i miei libri, ecco secondo me io, ma anche gli altri che scrivon romanzi, secondo me i romanzi in generale si scrivono per i morti.
La mortalità
Io se non avessi avuto i miei morti, mi son sentito dire, mio nonno, mia nonna, mio babbo, io probabilmente non avrei mai scritto niente e i libri che piacciono a me secondo me sono scritti per della gente che sa già tutto, non per informare, per informare, per i vivi, ci sono i giornali, i telegiornali, i radiogiornali, i romanzi, mi sembra, son per i morti, e io ormai più passa il tempo anche nei vivi, anche in me, mi son sentito dire, io apprezzo la parte morta, di me, la mia mortalità, non la mia vitalità.
Un romanzo
Io per esempio un romanzo che ho scritto che si chiama Pancetta quello lì era per un grande morto che si chiama Chlebnikov che spero che l’abbia letto.
Avere dei morti
Alla fine allora avere dei morti è una cosa che non è indifferente, quello che fai, avere dei morti è già dare un senso alla vita. Quelli che cercano il senso della loro vita, per dire, è perché non hanno ancora capito che hanno dei morti, secondo me.
Nonostante tutte le porcherie
Per esempio i parenti dei morti di Reggio Emilia, che son passati quarantacinque anni, nonostante tutte le porcherie che hanno subìto le ingiustizie che han visto nonostante il
dramma di quel che è successo lì in piazza dei Martiri, loro non si son mica dati per vinto, sono convinti che riusciranno a far mettere in piedi una commissione d’inchiesta parlamentare che dirà finalmente, dopo quarantacinque anni dai famosi fatti di Reggio Emilia, cosa è successo davvero a Reggio Emilia il 7 di luglio del 1960. E il fatto che non si siano dati per vinto che abbiano ancora presente benissimo a quarantacinque anni di distanza il senso di quello che devono fare, secondo me, non so se poi in generale dai fatti del mondo si possono trarre delle conclusioni, ma se si potessero trarre io concluderei che è della gente che hanno dei morti che son molto forti.