Resistere non serve a niente
Walter Siti
Commodore 64
1.
Poppate lentissime, al punto che sua madre s'addormentava allattandolo; questo appartiene alla mitologia, ai racconti di zia e nonna quando non volevano fargli pesare il suo essere "attrippatello". Ma l'infanzia importa poco: è vero che molte cose si decidono in quegli anni, però è anche vero che sono senza rimedio. L'infanzia non è una giustificazione né un luogo a cui voler tornare: come rimpiangere quelle bestioline che eravamo, deboli e parassite? Mamma invece non l'aveva mai preso alla leggera il suo sovrappeso ("'sto regazzino nun magna, s'abboffa"), già al tempo degli omogeneizzati e delle prime pappette; ma lei non ha mai preso niente alla leggera, la gravidanza era stata una causa continua di ricatti e lamentele. Con idee superstiziose in testa, era andata anche da una rumena perché quel concepimento le pareva affatturato, partito sotto una cattiva stella – s'era fissata che il bambino fosse stato messo in cantiere proprio quella notte che il marito era tornato ubriaco (fin lì, normale amministrazione) ma bestemmiando e lavandosi via del sangue al lavandino; avevano mezzo ammazzato un frocio che si credeva 'stocazzo, per dargli una lezione. "Ciavevi ancora l'odio addosso, m'hai intossicato la pancia": sentiva delle fitte che il dottore non sapeva spiegarsi, come se il feto si storcesse e si difendesse dalle ombre. Mamma sudava in quell'estate torrida e si sbrodolava di ghiaccioli, passando da una sedia all'altra nella piazza senza trovare pace; il bambino le arrivava in gola, tant'è vero che alla nascita pesava quattro chili e sette.
Tommaso è nato il 2 agosto 1976 e quando è andato a scuola aveva compiuto sei anni da pochissimo ma era il più alto e il più grosso di tutti: ultimo banco quindi e prima lezione sull'indifferenza, col piede della sedia aveva sfondato la plastica azzurra del battiscopa ma nessuno se n'era accorto. Nella marana dietro la scuola, dove andavano a fumare, si trovava quasi sempre da solo con Nando, un roscio magro come un chiodo; parlavano della bicicletta di Saronni che era vuota dentro e pesava un chilo: "si ce monti te, la sfonni," ma Nando non lo diceva mai con cattiveria. Invece la maestra sì, quella di terza, una volta che giocavano a rubabandiera speciale sulle rampe della scala, l'aveva fatto scendere di due gradini, "se Tommaso salta da quell'altezza ci apre un cratere"; tutti a ridere non tanto di lui ma della parola nuova, però poi per un mese l'avevano soprannominato "cratere".
Una negretta si tirava la gonna sulle ginocchia per non far vedere che era negra dappertutto, "il Signore l'ha lasciata troppo in forno e gli è venuta bruciata"; la maestra li strillava per battute così, però quando il venerdì c'era la compravendita a lei faceva portare sempre le banane. La lezione del venerdì a Tommaso piaceva molto perché lui non sbagliava mai; nel cortile (o nell'atrio quando pioveva) si allineavano sui banchi dei prodotti alimentari, in genere frutta e verdura, per le esercitazioni di aritmetica pratica ("s'arimedia er minestrone auffo, mica scema 'a maestra" diceva mamma); alcuni recitavano i venditori e altri fingevano di comprare. Le moltiplicazioni e le divisioni a Tommaso ormai non lo divertivano più, le risolveva in due secondi anche per Nando che gli regalava in cambio i buondì supplementari per la merenda. Scommetteva sulle variazioni che ci sarebbero state il venerdì successivo: aveva notato che quando la maestra arrivava vestita di scuro in genere i prezzi li alzava, mentre li abbassava quando si presentava tutta dipinta e colorata di chiaro.
Scommettere è peccato, brontolava il prete; una volta il prete era arrivato accompagnato da Zibibbo, che era stato al gabbio e davanti al Partito toccava il sedere alle donne e picchiava i cani ma lì a scuola faceva tutto il gentile; il prete ha detto bambini, pensate che quando gli uomini non sono liberi, e non possono lavorare o rendersi utili, e abitano sempre insieme a gente cattiva, sono quasi costretti a commettere peccato. A Tommaso da quel momento gli era venuta voglia di andarsene via lontano, dove c'erano palazzi luccicanti e non ti potevi sentire in prigione perché gli aerei ti portavano sempre da un'altra parte – ma quando si svegliava la mattina si sentiva deluso che la stanza stava ancora lì.
I suoi veri amici erano il budino Elah e i risotti già pronti; la mamma a mezzogiorno rimaneva in fabbrica (la distanza era troppa per tornare a casa), papà chissà dov'era. Tommaso rientrava da scuola all'una e mezza, trovava il risotto da scaldare ma lui lo preferiva freddo – e i budini tremolanti in frigo. Poi passava da Nando, dove c'era quasi sempre ad aspettarlo una fetta di torta di riso, o un tòrtano salato coi pezzetti di formaggio e prosciutto; lui comunque si augurava il dolce: anche quando rubava qualcosa al supermercato, rubava bomboloni o cremini.
La zia diceva che era perché i cremini glieli davano da neonato per farlo star buono; la madre negava, i cremini erano una mania recente e per non fargliene riempire le tasche gliele cuciva. Gli estranei invece ci cascavano, lo vedevano così grosso a otto-nove anni e gli offrivano del cibo ("sai quanto ce ne vòle pe' riempì er sacco") – non capivano che era proprio perché gli davano sempre tanto da mangiare che era diventato così grosso. A Pietralata nell'ottantacinque non c'era uno straccio di medico che diagnosticasse una disfunzione cellulare (un eccesso di assimilazione) o addirittura genetica (il gene Ob che codifica la leptina, cioè l'ormone responsabile di un corretto metabolismo). Ridevano a vedere quel ragazzino mai sazio, che ogni scusa era buona per sgranocchiare qualcosa – che poi "sgranocchiare" non era il verbo, perché a Tommaso piaceva tutto ciò che era morbido e andava giù senza bisogno di masticare. A lui non dispiaceva fare il buffone del quartiere; si agitava apposta saltando sulla bici per farsi ripetere che coi suoi calzoni ci si poteva costruire una mongolfiera.
Trangugiava e inghiottiva fin che non era pieno da scoppiare, solo quando nello stomaco non ce ne stava proprio più si sentiva autonomo (era un inganno, forse il più perfido alle soglie della vita; in realtà a comandare non era il pieno ma il vuoto: "nessuno mi risponde e dunque mangio"). A due anni, nei racconti della zia, divorava il muschio e i fiori dei giardinetti – panna e gelato dunque erano già una conquista. Non sopportarsi vuoto significava non lasciare mai spazio alla fame, cioè all'attesa; anche di notte si teneva le brioche sotto al cuscino. I dolci erano la sua trincea, il muro divisorio che lo separava dal mondo; lì non arrivavano più le risate, gli scherzi crudeli, lì c'era soltanto un eroe che si fortificava per spingersi oltre ogni limite – quale fosse questo limite non avrebbe saputo spiegarlo, non aveva che nove anni; ma certamente, al di là, si stendevano le terre dell'abbondanza, dell'innocenza, della gloria pubblica e dell'amore senza eccezioni. In chiesa gli avevano insegnato che anche mangiare troppo è peccato, un peccato di avidità e di superbia; i santi dividevano il loro tozzo di pane coi poveri. "Ma anche noi siamo poveri" lo coglionava Nando, e alla fattoria della Caffarella strappavano le uova da sotto il culo alle galline. Quella era vita, vita comune. La cerimonia del rimpinzarsi era un'altra cosa, da celebrare in solitudine; una frittata di sei uova, spalmata di stracchino e di marmellata alle fragole ("seppellisco il peccato dentro di me"). La sua pancia brontola come il cielo, Tommaso è un dio gigantesco all'origine del mondo.
*
Non che non sappia muoversi con agilità: nonostante la mole corre piuttosto veloce e soprattutto nuota benissimo. Solo una volta che erano in esplorazione al parco di Cecafumo e volevano ispezionare un rudere, Tommaso ha esitato davanti a un cunicolo troppo stretto; non è riuscito a entrarci, però per opporsi a Nando che lo incoraggiava ("dài, qui ce passa chiunque") ha saputo trovare una buona replica ("a bbello, io mica so' chiunque"). Nando è carico di fiducia come un cannolo, fiducia in se stesso e nelle relazioni umane: non guarda mai le cose come dietro un vetro, se c'è una situazione che lo disturba scatta e attacca a testa bassa per cambiarla; magari perde perché non riflette, però almeno ci prova – il calcolo astratto e la meditazione non fanno per lui; con le bambine in corridoio allunga le mani e viene rudemente respinto. Tommaso invece è il re delle strade contorte: alla più carina della classe, che l'avevano pure messa sulla copertina di "Primavera missionaria," prometteva durante la ricreazione cento lire se lei avesse indovinato sotto quale bicchiere stava la pallina – muoveva le mani da imbranato apposta perché lei sgamasse ("però intanto sento il suo odore"). Alle spose che tornavano affannate con la borsa della spesa spiavano la spaccatura tra i seni, anche a quelle brutte, ma Nando ci faceva sopra una risata e se lo dimenticava subito.
*
Erano diventati indivisibili e facevano ridere, uno piccolino e secco l'altro tipo balenottero, come Stanlio e Ollio; ma non era igienico ridere troppo perché potevano diventare una discreta macchina da guerra. A Nando gli partiva la ciavatta come niente, ti coglieva impreparato e dovevi stare attento a non cascare – perché una volta a terra quell'altro ti si stendeva sopra e per rialzarsi erano cazzi.
*
Le memorie d'infanzia sono bucherellate, si ricordano più gli incidenti che la normalità; le liti in famiglia scoppiavano per un'osservazione di troppo, quando la madre diceva "a Sà, ma che me frega der rispetto? me cedono er posto, sì, però poi me guardeno che me scannerebbero" – il padre sbatteva il pugno sul tavolo "Iré, ma che te credi che me piace, a me?" Ogni tanto in casa capitavano personaggi fuori misura, che stonavano come se fosse entrata una giraffa: Tommaso si ricorda del proprietario di mezzo Pigneto che aveva lasciato di sotto il macchinone con l'autista, e di un prete senza tonaca col collarino bianco che parlava fitto fitto col capo degli zingari della Maranella. Dopo queste riunioni il padre restava muto e concentrato, a distrarlo volavano le sberle. "Cuidado che questo nun è a bordo"; a Tommaso era parsa una frase fichissima che avrebbe potuto ripetere al bar di Pancino, ma non aveva capito bene la prima parola: "papà, che vuol dire qui-dado?"
Il padre gli aveva messo in mano due bignè che aveva comprato per il piccolo ricevimento: "tàppate la bocca, va'."
*
Quando il padre è stato condotto in prigione, Tommaso aveva undici anni e s'era appena iscritto in prima media; mamma Irene non gli aveva fornito molti chiarimenti ("la corda prima se tira poi se spezza"), ma a scuola sapevano tutto e Nando glielo aveva riassunto anticipando gli altri: Sante Aricò raccoglieva le offerte dei negozianti per conto di una società segreta, "una specie d'assicurazione" – solo che non era riconosciuta dallo Stato, anzi era proprio vietata. Gli amici di papà, forse perché si sentivano in colpa, mollavano ogni tanto qualche regalo; la casa del capo era piena di marmi decorati e i divani a strisce d'oro erano così alti che mamma Irene quando ci si sedeva poi non riusciva più ad alzarsi – arrossiva afferrando la mano che le porgevano. Per la promozione in seconda gli avevano regalato un computer; lì per lì era stata una delusione perché tutti ormai avevano il Commodore 64 mentre a lui gli avevano rifilato un MSX, uno standard giapponese meno potente, sicché non poteva scambiarsi i giochi coi compagni. Alla lunga però s'era rivelata una fortuna: non potendoci giocare, per lui il divertimento era diventato programmare il pc, "fargli fare delle cose". Per costringerlo a disegnare un cerchio, per esempio, Tommaso doveva scrivere l'equazione della circonferenza; la geometria piana sostituiva il tennis da tavolo e le corse automobilistiche, il che lo conduceva molto al di là delle miserie su cui quella scema della professoressa pretendeva di interrogare.
*
Ristrettasi di colpo la famiglia, rimasti soli lui e la madre, a Tommaso era sembrato di essersi trasformato in un adulto; le difficoltà economiche gli erano diventate più evidenti, la madre il sabato e la domenica andava a fare le pulizie in un blocco di uffici sulla Togliatti. Uffici di vetro e acciaio con decine di computer, agli ultimi piani da cui si dominava tutta Roma. Mamma tornava che strascicava i piedi ("ja'a faremo, ranocchié"), quando stavano verso il venti del mese si arrabattava su calcoli sempre più puntigliosi prima di avventurarsi al mercato, altro che le esercitazioni pratiche delle elementari, la busta paga non arrivava mai ("me stanno a spuntà 'e branchie"); ora all'inizio della settimana lasciava a lui un piccolo budget e per il pranzo si arrangiava da solo.
*
Tommy arrotonda passando qualche compito di matematica ai due ebeti della classe che hanno i padri al ministero, ma la nuova responsabilità aggrava la bulimia: sentendosi libero, evita i cibi sani e si imbottisce di snack, di pizze, di supplì. Mangia perché si annoia (Nando di pomeriggio fa il cameriere in una bisca) e la noia non merita niente di costoso: c'è un indiano in via del Peperino che gli cede a metà prezzo le merendine scadute. Qualche volta arriva all'abiezione di buttare direttamente nel secchio della spazzatura un po' di salsa di pomodoro e qualche foglia mezza marcia raccattata per strada, per far credere alla madre che ha mangiato spaghetti e insalata. Più spesso sparge in giro proprio gli involucri incriminati, le plastiche dei gelati e i cartoni dei sofficini, per testare la madre verificando se almeno lo strilla; ma lei è così stanca che non ci fa più caso, ormai s'è abituata a un figlio mostro.
Tommaso invece recalcitra, si pente e fa propositi: "da domani mi cuocio un po' di pesce con le verdure, poi vado a dà du' calci ar campetto". In fondo gradirebbe essere come tutti, non doversi sempre distinguere; urlare insieme le soddisfazioni collettive, con canzoni di rabbia o di vittoria. Ma il cibo sta lì, perché aspettare? Mangia soprattutto dopo che ha mangiato, per inseguire un piacere irraggiungibile; si aggomitola sul letto e si tiene compagnia con le puzze, le cataloga al suono e secondo la durata. Conversa a lungo con le proprie feci, le accusa come se fossero in tribunale, lì impaurite sulla ceramica bianca in attesa dello sciacquone. "Le vittorie sono merda e io in merda le riduco." Finisco il fritto prima che mi sale la nausea, tanto il pallone non me lo passano comunque. Incerto se stare in casa o uscire – il cielo tra gli alberi, nella discesa che porta alla canonica, è un grande calamaro che lo soffoca.
Alle elezioni per il rappresentante di classe è risultato secondo, che è il piazzamento degli stronzi; quel giorno avrebbe voluto picchiare Gesù Cristo, tranquillo ed emaciato sulla sua croce. Ha venduto una giacca che tanto non s'allacciava più e si è finalmente permesso di scialare allo Zio d'America, sprecando e sputacchiando salmone, caviale, pasticcio di fegato d'oca (quello sì che l'ha vomitato perché il sapore era schifoso). "In ogni caso, meglio essere in credito che in debito di calorie; fin che mangio sono in attivo, incorporo energie che si tramutano in fosforo e quindi in intelligenza; la matematica non delude mai." Gli iscritti al club di Topolino ricevono fascicoli con problemi di grado superiore; Tommaso ne risolve alcuni destinati ai sedicenni e li spedisce, spera d'essere invitato a Bressanone dove si svolgerà la gara finale.
Problema dell'ubriaco. Un ubriaco arriva alla porta d'una città a pianta quadrata; superata la porta, situata in uno dei vertici della cinta muraria, si incammina tra gli isolati (indicati da quadratini) procedendo a caso senza mai tornare indietro. A ogni bivio la sua scelta è aleatoria. Quale probabilità ha l'ubriaco di imboccare la via giusta e di giungere al quadratino indicato con la lettera O, che rappresenta casa sua?
Soluzione. Ogni isolato ha una certa probabilità X di essere raggiunto e X è uguale al rapporto tra il numero dei percorsi che conducono a quell'isolato e il numero dei percorsi possibili in ogni riga del triangolo (quello che va dal vertice della porta fino a metà quadrato, dove appunto si trova la casa O). La probabilità di giungere in B, per esempio, è 1/2, quella di giungere in D è 1/4, in H 3/8 eccetera. Se rappresentiamo con istogrammi questa serie di probabilità, otteniamo una scala ascendente e poi discendente; al sommo della scala c'è proprio la casa O, posta a metà dell'ipotenusa, con 6/16 di probabilità.
Sul computer, massimizzando il numero dei bivi e degli isolati, la campana di Gauss si disegnava nettissima; è stato a quel punto, mentre pensava che allora forse il Signore lo voleva il ritorno di papà, che Tommaso è scoppiato a piangere.
1.
Poppate lentissime, al punto che sua madre s'addormentava allattandolo; questo appartiene alla mitologia, ai racconti di zia e nonna quando non volevano fargli pesare il suo essere "attrippatello". Ma l'infanzia importa poco: è vero che molte cose si decidono in quegli anni, però è anche vero che sono senza rimedio. L'infanzia non è una giustificazione né un luogo a cui voler tornare: come rimpiangere quelle bestioline che eravamo, deboli e parassite? Mamma invece non l'aveva mai preso alla leggera il suo sovrappeso ("'sto regazzino nun magna, s'abboffa"), già al tempo degli omogeneizzati e delle prime pappette; ma lei non ha mai preso niente alla leggera, la gravidanza era stata una causa continua di ricatti e lamentele. Con idee superstiziose in testa, era andata anche da una rumena perché quel concepimento le pareva affatturato, partito sotto una cattiva stella – s'era fissata che il bambino fosse stato messo in cantiere proprio quella notte che il marito era tornato ubriaco (fin lì, normale amministrazione) ma bestemmiando e lavandosi via del sangue al lavandino; avevano mezzo ammazzato un frocio che si credeva 'stocazzo, per dargli una lezione. "Ciavevi ancora l'odio addosso, m'hai intossicato la pancia": sentiva delle fitte che il dottore non sapeva spiegarsi, come se il feto si storcesse e si difendesse dalle ombre. Mamma sudava in quell'estate torrida e si sbrodolava di ghiaccioli, passando da una sedia all'altra nella piazza senza trovare pace; il bambino le arrivava in gola, tant'è vero che alla nascita pesava quattro chili e sette.
Tommaso è nato il 2 agosto 1976 e quando è andato a scuola aveva compiuto sei anni da pochissimo ma era il più alto e il più grosso di tutti: ultimo banco quindi e prima lezione sull'indifferenza, col piede della sedia aveva sfondato la plastica azzurra del battiscopa ma nessuno se n'era accorto. Nella marana dietro la scuola, dove andavano a fumare, si trovava quasi sempre da solo con Nando, un roscio magro come un chiodo; parlavano della bicicletta di Saronni che era vuota dentro e pesava un chilo: "si ce monti te, la sfonni," ma Nando non lo diceva mai con cattiveria. Invece la maestra sì, quella di terza, una volta che giocavano a rubabandiera speciale sulle rampe della scala, l'aveva fatto scendere di due gradini, "se Tommaso salta da quell'altezza ci apre un cratere"; tutti a ridere non tanto di lui ma della parola nuova, però poi per un mese l'avevano soprannominato "cratere".
Una negretta si tirava la gonna sulle ginocchia per non far vedere che era negra dappertutto, "il Signore l'ha lasciata troppo in forno e gli è venuta bruciata"; la maestra li strillava per battute così, però quando il venerdì c'era la compravendita a lei faceva portare sempre le banane. La lezione del venerdì a Tommaso piaceva molto perché lui non sbagliava mai; nel cortile (o nell'atrio quando pioveva) si allineavano sui banchi dei prodotti alimentari, in genere frutta e verdura, per le esercitazioni di aritmetica pratica ("s'arimedia er minestrone auffo, mica scema 'a maestra" diceva mamma); alcuni recitavano i venditori e altri fingevano di comprare. Le moltiplicazioni e le divisioni a Tommaso ormai non lo divertivano più, le risolveva in due secondi anche per Nando che gli regalava in cambio i buondì supplementari per la merenda. Scommetteva sulle variazioni che ci sarebbero state il venerdì successivo: aveva notato che quando la maestra arrivava vestita di scuro in genere i prezzi li alzava, mentre li abbassava quando si presentava tutta dipinta e colorata di chiaro.
Scommettere è peccato, brontolava il prete; una volta il prete era arrivato accompagnato da Zibibbo, che era stato al gabbio e davanti al Partito toccava il sedere alle donne e picchiava i cani ma lì a scuola faceva tutto il gentile; il prete ha detto bambini, pensate che quando gli uomini non sono liberi, e non possono lavorare o rendersi utili, e abitano sempre insieme a gente cattiva, sono quasi costretti a commettere peccato. A Tommaso da quel momento gli era venuta voglia di andarsene via lontano, dove c'erano palazzi luccicanti e non ti potevi sentire in prigione perché gli aerei ti portavano sempre da un'altra parte – ma quando si svegliava la mattina si sentiva deluso che la stanza stava ancora lì.
I suoi veri amici erano il budino Elah e i risotti già pronti; la mamma a mezzogiorno rimaneva in fabbrica (la distanza era troppa per tornare a casa), papà chissà dov'era. Tommaso rientrava da scuola all'una e mezza, trovava il risotto da scaldare ma lui lo preferiva freddo – e i budini tremolanti in frigo. Poi passava da Nando, dove c'era quasi sempre ad aspettarlo una fetta di torta di riso, o un tòrtano salato coi pezzetti di formaggio e prosciutto; lui comunque si augurava il dolce: anche quando rubava qualcosa al supermercato, rubava bomboloni o cremini.
La zia diceva che era perché i cremini glieli davano da neonato per farlo star buono; la madre negava, i cremini erano una mania recente e per non fargliene riempire le tasche gliele cuciva. Gli estranei invece ci cascavano, lo vedevano così grosso a otto-nove anni e gli offrivano del cibo ("sai quanto ce ne vòle pe' riempì er sacco") – non capivano che era proprio perché gli davano sempre tanto da mangiare che era diventato così grosso. A Pietralata nell'ottantacinque non c'era uno straccio di medico che diagnosticasse una disfunzione cellulare (un eccesso di assimilazione) o addirittura genetica (il gene Ob che codifica la leptina, cioè l'ormone responsabile di un corretto metabolismo). Ridevano a vedere quel ragazzino mai sazio, che ogni scusa era buona per sgranocchiare qualcosa – che poi "sgranocchiare" non era il verbo, perché a Tommaso piaceva tutto ciò che era morbido e andava giù senza bisogno di masticare. A lui non dispiaceva fare il buffone del quartiere; si agitava apposta saltando sulla bici per farsi ripetere che coi suoi calzoni ci si poteva costruire una mongolfiera.
Trangugiava e inghiottiva fin che non era pieno da scoppiare, solo quando nello stomaco non ce ne stava proprio più si sentiva autonomo (era un inganno, forse il più perfido alle soglie della vita; in realtà a comandare non era il pieno ma il vuoto: "nessuno mi risponde e dunque mangio"). A due anni, nei racconti della zia, divorava il muschio e i fiori dei giardinetti – panna e gelato dunque erano già una conquista. Non sopportarsi vuoto significava non lasciare mai spazio alla fame, cioè all'attesa; anche di notte si teneva le brioche sotto al cuscino. I dolci erano la sua trincea, il muro divisorio che lo separava dal mondo; lì non arrivavano più le risate, gli scherzi crudeli, lì c'era soltanto un eroe che si fortificava per spingersi oltre ogni limite – quale fosse questo limite non avrebbe saputo spiegarlo, non aveva che nove anni; ma certamente, al di là, si stendevano le terre dell'abbondanza, dell'innocenza, della gloria pubblica e dell'amore senza eccezioni. In chiesa gli avevano insegnato che anche mangiare troppo è peccato, un peccato di avidità e di superbia; i santi dividevano il loro tozzo di pane coi poveri. "Ma anche noi siamo poveri" lo coglionava Nando, e alla fattoria della Caffarella strappavano le uova da sotto il culo alle galline. Quella era vita, vita comune. La cerimonia del rimpinzarsi era un'altra cosa, da celebrare in solitudine; una frittata di sei uova, spalmata di stracchino e di marmellata alle fragole ("seppellisco il peccato dentro di me"). La sua pancia brontola come il cielo, Tommaso è un dio gigantesco all'origine del mondo.
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Non che non sappia muoversi con agilità: nonostante la mole corre piuttosto veloce e soprattutto nuota benissimo. Solo una volta che erano in esplorazione al parco di Cecafumo e volevano ispezionare un rudere, Tommaso ha esitato davanti a un cunicolo troppo stretto; non è riuscito a entrarci, però per opporsi a Nando che lo incoraggiava ("dài, qui ce passa chiunque") ha saputo trovare una buona replica ("a bbello, io mica so' chiunque"). Nando è carico di fiducia come un cannolo, fiducia in se stesso e nelle relazioni umane: non guarda mai le cose come dietro un vetro, se c'è una situazione che lo disturba scatta e attacca a testa bassa per cambiarla; magari perde perché non riflette, però almeno ci prova – il calcolo astratto e la meditazione non fanno per lui; con le bambine in corridoio allunga le mani e viene rudemente respinto. Tommaso invece è il re delle strade contorte: alla più carina della classe, che l'avevano pure messa sulla copertina di "Primavera missionaria," prometteva durante la ricreazione cento lire se lei avesse indovinato sotto quale bicchiere stava la pallina – muoveva le mani da imbranato apposta perché lei sgamasse ("però intanto sento il suo odore"). Alle spose che tornavano affannate con la borsa della spesa spiavano la spaccatura tra i seni, anche a quelle brutte, ma Nando ci faceva sopra una risata e se lo dimenticava subito.
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Erano diventati indivisibili e facevano ridere, uno piccolino e secco l'altro tipo balenottero, come Stanlio e Ollio; ma non era igienico ridere troppo perché potevano diventare una discreta macchina da guerra. A Nando gli partiva la ciavatta come niente, ti coglieva impreparato e dovevi stare attento a non cascare – perché una volta a terra quell'altro ti si stendeva sopra e per rialzarsi erano cazzi.
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Le memorie d'infanzia sono bucherellate, si ricordano più gli incidenti che la normalità; le liti in famiglia scoppiavano per un'osservazione di troppo, quando la madre diceva "a Sà, ma che me frega der rispetto? me cedono er posto, sì, però poi me guardeno che me scannerebbero" – il padre sbatteva il pugno sul tavolo "Iré, ma che te credi che me piace, a me?" Ogni tanto in casa capitavano personaggi fuori misura, che stonavano come se fosse entrata una giraffa: Tommaso si ricorda del proprietario di mezzo Pigneto che aveva lasciato di sotto il macchinone con l'autista, e di un prete senza tonaca col collarino bianco che parlava fitto fitto col capo degli zingari della Maranella. Dopo queste riunioni il padre restava muto e concentrato, a distrarlo volavano le sberle. "Cuidado che questo nun è a bordo"; a Tommaso era parsa una frase fichissima che avrebbe potuto ripetere al bar di Pancino, ma non aveva capito bene la prima parola: "papà, che vuol dire qui-dado?"
Il padre gli aveva messo in mano due bignè che aveva comprato per il piccolo ricevimento: "tàppate la bocca, va'."
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Quando il padre è stato condotto in prigione, Tommaso aveva undici anni e s'era appena iscritto in prima media; mamma Irene non gli aveva fornito molti chiarimenti ("la corda prima se tira poi se spezza"), ma a scuola sapevano tutto e Nando glielo aveva riassunto anticipando gli altri: Sante Aricò raccoglieva le offerte dei negozianti per conto di una società segreta, "una specie d'assicurazione" – solo che non era riconosciuta dallo Stato, anzi era proprio vietata. Gli amici di papà, forse perché si sentivano in colpa, mollavano ogni tanto qualche regalo; la casa del capo era piena di marmi decorati e i divani a strisce d'oro erano così alti che mamma Irene quando ci si sedeva poi non riusciva più ad alzarsi – arrossiva afferrando la mano che le porgevano. Per la promozione in seconda gli avevano regalato un computer; lì per lì era stata una delusione perché tutti ormai avevano il Commodore 64 mentre a lui gli avevano rifilato un MSX, uno standard giapponese meno potente, sicché non poteva scambiarsi i giochi coi compagni. Alla lunga però s'era rivelata una fortuna: non potendoci giocare, per lui il divertimento era diventato programmare il pc, "fargli fare delle cose". Per costringerlo a disegnare un cerchio, per esempio, Tommaso doveva scrivere l'equazione della circonferenza; la geometria piana sostituiva il tennis da tavolo e le corse automobilistiche, il che lo conduceva molto al di là delle miserie su cui quella scema della professoressa pretendeva di interrogare.
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Ristrettasi di colpo la famiglia, rimasti soli lui e la madre, a Tommaso era sembrato di essersi trasformato in un adulto; le difficoltà economiche gli erano diventate più evidenti, la madre il sabato e la domenica andava a fare le pulizie in un blocco di uffici sulla Togliatti. Uffici di vetro e acciaio con decine di computer, agli ultimi piani da cui si dominava tutta Roma. Mamma tornava che strascicava i piedi ("ja'a faremo, ranocchié"), quando stavano verso il venti del mese si arrabattava su calcoli sempre più puntigliosi prima di avventurarsi al mercato, altro che le esercitazioni pratiche delle elementari, la busta paga non arrivava mai ("me stanno a spuntà 'e branchie"); ora all'inizio della settimana lasciava a lui un piccolo budget e per il pranzo si arrangiava da solo.
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Tommy arrotonda passando qualche compito di matematica ai due ebeti della classe che hanno i padri al ministero, ma la nuova responsabilità aggrava la bulimia: sentendosi libero, evita i cibi sani e si imbottisce di snack, di pizze, di supplì. Mangia perché si annoia (Nando di pomeriggio fa il cameriere in una bisca) e la noia non merita niente di costoso: c'è un indiano in via del Peperino che gli cede a metà prezzo le merendine scadute. Qualche volta arriva all'abiezione di buttare direttamente nel secchio della spazzatura un po' di salsa di pomodoro e qualche foglia mezza marcia raccattata per strada, per far credere alla madre che ha mangiato spaghetti e insalata. Più spesso sparge in giro proprio gli involucri incriminati, le plastiche dei gelati e i cartoni dei sofficini, per testare la madre verificando se almeno lo strilla; ma lei è così stanca che non ci fa più caso, ormai s'è abituata a un figlio mostro.
Tommaso invece recalcitra, si pente e fa propositi: "da domani mi cuocio un po' di pesce con le verdure, poi vado a dà du' calci ar campetto". In fondo gradirebbe essere come tutti, non doversi sempre distinguere; urlare insieme le soddisfazioni collettive, con canzoni di rabbia o di vittoria. Ma il cibo sta lì, perché aspettare? Mangia soprattutto dopo che ha mangiato, per inseguire un piacere irraggiungibile; si aggomitola sul letto e si tiene compagnia con le puzze, le cataloga al suono e secondo la durata. Conversa a lungo con le proprie feci, le accusa come se fossero in tribunale, lì impaurite sulla ceramica bianca in attesa dello sciacquone. "Le vittorie sono merda e io in merda le riduco." Finisco il fritto prima che mi sale la nausea, tanto il pallone non me lo passano comunque. Incerto se stare in casa o uscire – il cielo tra gli alberi, nella discesa che porta alla canonica, è un grande calamaro che lo soffoca.
Alle elezioni per il rappresentante di classe è risultato secondo, che è il piazzamento degli stronzi; quel giorno avrebbe voluto picchiare Gesù Cristo, tranquillo ed emaciato sulla sua croce. Ha venduto una giacca che tanto non s'allacciava più e si è finalmente permesso di scialare allo Zio d'America, sprecando e sputacchiando salmone, caviale, pasticcio di fegato d'oca (quello sì che l'ha vomitato perché il sapore era schifoso). "In ogni caso, meglio essere in credito che in debito di calorie; fin che mangio sono in attivo, incorporo energie che si tramutano in fosforo e quindi in intelligenza; la matematica non delude mai." Gli iscritti al club di Topolino ricevono fascicoli con problemi di grado superiore; Tommaso ne risolve alcuni destinati ai sedicenni e li spedisce, spera d'essere invitato a Bressanone dove si svolgerà la gara finale.
Problema dell'ubriaco. Un ubriaco arriva alla porta d'una città a pianta quadrata; superata la porta, situata in uno dei vertici della cinta muraria, si incammina tra gli isolati (indicati da quadratini) procedendo a caso senza mai tornare indietro. A ogni bivio la sua scelta è aleatoria. Quale probabilità ha l'ubriaco di imboccare la via giusta e di giungere al quadratino indicato con la lettera O, che rappresenta casa sua?
Soluzione. Ogni isolato ha una certa probabilità X di essere raggiunto e X è uguale al rapporto tra il numero dei percorsi che conducono a quell'isolato e il numero dei percorsi possibili in ogni riga del triangolo (quello che va dal vertice della porta fino a metà quadrato, dove appunto si trova la casa O). La probabilità di giungere in B, per esempio, è 1/2, quella di giungere in D è 1/4, in H 3/8 eccetera. Se rappresentiamo con istogrammi questa serie di probabilità, otteniamo una scala ascendente e poi discendente; al sommo della scala c'è proprio la casa O, posta a metà dell'ipotenusa, con 6/16 di probabilità.
Sul computer, massimizzando il numero dei bivi e degli isolati, la campana di Gauss si disegnava nettissima; è stato a quel punto, mentre pensava che allora forse il Signore lo voleva il ritorno di papà, che Tommaso è scoppiato a piangere.